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L’editoria è impresa. Impresa culturale, artistica, creativa, ma prima di tutto impresa. L’editoria come impresa che attraverso la sua attività permette alla scrittura di diventare mestiere e alla lettura di diventare consumo.
Di per sé la distribuzione, perlomeno in Italia, è la stessa da oltre cent’anni, eppure nel giro di qualche anno la stampa si è innovata in modo potenzialmente rivoluzionario (con il Print on Demand) e, addirittura in qualche mese, a causa della pandemia, anche l’arrivo del libro verso il lettore è cambiato tantissimo, con un’accelerazione senza precedenti.
Se pensiamo all’ultimo passaggio della filiera, pensiamo al libraio e alla libreria.
Eppure ci sono 3 modi alternativi con cui il libro arriva, ed è arrivato in questi ultimi anni, al lettore:

1) le edicole
2) la grande distribuzione, protagonista di mega-seller
3) l’e-commerce.

È proprio vero che il canale tradizionale è sempre e comunque in competizione con altri canali magari più facilmente raggiungibili dai consumatori?

In realtà il libro è uno dei pochi beni non “competitivi”, ovvero più libri si leggono più se ne vogliono leggere: il pericolo, per il libro, è piuttosto che il tempo della lettura venga eroso da altro.
Potremmo dire che più occasioni di acquisto ci sono più bene si fa ai lettori e ai libri, tenendo conto del fatto che senza librerie l’impresa editoriale non sarebbe la stessa: il consiglio diretto del libraio e quello indiretto attraverso la sua vetrina e i suoi scaffali, il passa-parola non solo tra il libraio e il lettore ma anche viceversa, che diventa comunità di lettori.
Tutto questo è parte rilevante e sostanziale della filiera e dell’impresa editoriale.
Possiamo imparare e mettere a fattor comune qualcosa di importante da quello che sta avvenendo, per migliorare l’impresa editoriale nella sua globalità, dall’editore al distributore al libraio?